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DOSSIER - Venti di guerra sulle rinnovabili - parte II
Lo stesso panorama dei monti Dauni idealmente ripulito dalle pale - copyright E. Cripezzi

 ANALISI ENERGETICA E STATO DELL'ARTE
 
 
Abbiamo visto come la pianificazione energetica dello Stato non esista, alla meglio esistono desiderata, numeri freddi che non derivano da analisi territoriali e da valutazioni di sostenibilità.
 
Le pianificazioni regionali che dovrebbero essere “Energetico-Ambientali” (!) in molti casi sono anche peggio e di fatto non esercitano alcun contenimento del fenomeno, oltre ad essere caratterizzate da profili di palese violazione delle norme di riferimento come la mancata applicazione della Valutazione di Incidenza, d’obbligo per verificare gli effetti sulle aree naturali (SIC-ZPS-IBA) in una ottica di rete. Quindi una pesante violazione anche delle direttive comunitarie che sul versante energetico si tende invece a rivendicare.
 
Peraltro le già citate linee guida nazionali del settembre 2010 confermano le preesistenti normative in base a cui i limiti di potenza assunti nella pianificazione regionale non possono essere assunti quale elemento per condizionare l’autorizzazione di tali progetti, con evidenti riflessi sul piano giurisprudenziale in caso di contenziosi amministrativi.
 
Anzi, in molti casi emergono autentici regali alla lobby.
 A titolo di esempio, il Piano Energetico Regionale della Basilicata, un piano “pre-elettorale” su cui la LIPU ed altre sigle hanno formulato istanze agli organi regionali (inevase, malgrado forti dibattiti interni allo scorso Consiglio Regionale). 
Tale Piano, pur partendo dai “soli” 10.000 MW nazionali individuati (al 2020) dal Position Paper governativo del 2008, proietta 1500 MW eolici, circa il doppio (!) dei 760 MW di potenza eolica prevista invece dall’ANEV (che pure sarebbe in palese conflitto di interessi) per questa stessa regione, partendo da una più ampia previsione nazionale di ben 16.200 MW (tutti on-shore) al 2020.
 Sull’eolico risultano in esercizio 6000 MW per 5000 torri a fine 2010, già sintomatici di una situazione compromissiva poiché avulsi da qualsivoglia contesto di regole e pianificazione.
Eppure si tratta di dati fuorvianti, strumentalmente proposti dalla lobby.
 
Con un rapido screening a livello regionale dei pareri già emessi e le autorizzazioni rilasciate, emergono non meno di ulteriori 6000 MW in attesa di realizzazione che quindi hanno già ipotecato ulteriormente il territorio italiano, pur non essendo “visibili” perché non censiti ufficialmente ai collegamenti della rete elettrica nazionale.
 12.000 MW, quindi, che equivalgono alla soglia eolica, pur elevata, comunicata dal Governo Italiano alla UE con il PAN (Piano d’Azione Nazionale Rinnovabili, 30.06.2010)
[1] con cui si prevedono 18.000 GWh di energia al 2020.
 
Non intervenire immediatamente significa dover poi prendere semplicemente atto di ulteriori migliaia di MW che stanno acquisendo pareri e autorizzazioni, e quindi potenziali diritti “acquisiti”, con ipoteche territoriali non sostenibili ma anche finanziarie da dover onorare irragionevolmente a causa dei ritardi della politica.
 
Un'aberrazione che sta completandosi gravemente senza che Stato e Regioni abbiano realmente governato il fenomeno.
 Tale situazione è stata più volte evidenziata in contesti pubblici o istituzionali, anche governativi, da numerose associazioni attraverso un dossier
[2], aggiornato al 2010, che esponeva la dinamica reale e i relativi guasti determinati dal cosiddetto eolico “selvaggio” nel Mezzogiorno e sempre più anche nel resto della Nazione. A onor del vero la politica è ancora insensibile a tale denuncia tranne poche, determinate eccezioni come nel caso di esponenti Radicali.
 Per la stabilità di un sistema elettrico, la potenza generatrice di carattere intermittente come quella da FER, e da eolico in particolare, non dovrebbe superare il 20% della potenza complessiva in gioco. Riferendosi alla potenza massima sviluppabile in Italia per circa 56.000, la soglia di sicurezza si aggira in meno di 12.000 MW.
 Ulteriori centinaia o migliaia di MW insediati non solo da fonte rinnovabile intermittente ma con la stessa tecnologia (eolica) oltre ad essere difficilmente gestibili per i limiti accennati, andrebbero a colonizzare aree sempre meno produttive. Infatti quelle con una resa accettabile (comunque grazie a incentivi sovradimensionati) sono già state abbondantemente sfruttate. 
Si realizzerebbero, quindi, investimenti ancor più onerosi e dalla resa ancor più scarsa rispetto agli obiettivi di riduzione di CO2.
 Non a caso, sul perseguimento di tali obiettivi, l’OCSE nel suo rapporto 2011 sull’Italia “OECD Economic Surveys: Italy 2011” 
[3]  evidenzia che l’utilizzo delle rinnovabili elettriche (principale se non unico approccio al decarbonizzazione in Italia) è uno dei modi più costosi per ridurre le emissioni di gas serra.
 
Ancora, oggettivamente l’eolico non sviluppa grandi interessi indotti in ambito occupazionale o tecnologico per il nostro Paese ma favorisce di riflesso economie estere mentre il margine di miglioramento del rendimento di questa tecnologia è risibile, tanto da spingere le industrie a ottenere più energia semplicemente ingrandendo il rotore o elevando l’altezza delle pale.
 
Infine, il permanere di incentivi cosi lucrosi da cui derivano guadagni esorbitanti per pochi eletti e quindi il sostanziale spreco di denaro alla luce dei risultati, pone l’obbligo di una riflessione sull’immoralità di tale dinamica in un contesto di crisi e grave difficoltà della popolazione e delle imprese che non hanno nemmeno quell’accesso al credito ben più garantito alle srl energetiche da 10.000 euro.
 Sul Fotovoltaico il citato PAN (Piano d’Azione Nazionale) sulle Rinnovabili comunicato alla UE dal Governo Italiano prevedeva 8.000 MW da insediare entro il 2020 da cui ottenere 9.650 GWh di energia. Il “contatore” fotovoltaico del GSE
[4] sta per consuntivare il raggiungimento di 11.000 MW (per oltre 5 mld di euro annui!) con un tasso stimato di oltre 1000 MW a trimestre, superando già da qualche mese gli 8000 MW previsti al 2020. Tali previsioni avevano indotto il Governo a intervenire, sebbene con un blocco transitorio, attraverso un nuovo 4° conto energia.
 Ora il DM 5.5.2011 attuativo del 4° conto energia prevede, tra l’altro, una lievitazione della potenza Fotovoltaica installabile a 23.000 MW al 2016, invece degli 8000 MW al 2020 prima previsti. 
Pur non considerando i miglioramenti tecnologici e di resa nel tempo, questi 23.000 MW (al 2016) produrrebbero 27.700 GWh di energia elettrica.
 Si deduce che, con la sola NUOVA SOGLIA FOTOVOLTAICA prevista già al 2016, si avrebbe la stessa energia preventivata al 2020 nel PAN rinnovabili governativo derivante da tutti i 12.000 MW di potenza eolica e da tutti gli 8.000 MW di potenza fotovoltaica (18.000 GWh + 9.650 GWh).
I 6.000 MW eolici in esercizio determinerebbero un surplus energetico rispetto agli obiettivi prefissati nel comparto elettrico.
 
A maggior ragione emerge inequivocabilmente l’inutilità di ulteriori centinaia, migliaia di MW eolici rispetto a tali obiettivi con conseguente enorme dispendio di risorse finanziarie più utilmente allocabili per la riduzione dei gas serra e una produttività oggettivamente ingestibile.
 
Si aggiunga che il Fotovoltaico, nel settore degli inverter, dell’impiantistica elettrica diffusa, degli installatori e manutentori,  riscuote interesse occupazionale e economico che ricadrebbe sulla economia italiana, anche se sarebbe auspicabile la crescita nazionale in questa tecnologia oggi in mano ai paesi del sol levante.
 Tra l’altro l’orientamento a una diffusione di carattere “condominiale” o parcellizzata per le aziende agricole si presterebbe quale integrazione al reddito invece di favorire solo singole figure imprenditoriali o presunte tali. 
Tuttavia occorre far notare che un perseguimento troppo rapido di obiettivi con il fotovoltaico rischia di assegnare un ruolo di “cavia” al nostro paese, pagando eccessivamente ciò che altri paesi europei pagheranno molto meno grazie alla progressiva riduzione dei costi. E’ auspicabile quindi che l’incentivazione sia in linea con la graduale riduzione dei costi cosi da ottimizzare le risorse finanziarie.
 Infine si registra una grave distorsione dei valori dei terreni agricoli sull’onda della bolla speculativa determinata proprio dall’accaparramento dei titoli di opzione d’uso per l’insediamento del fotovoltaico al suolo. E’ evidente l’esigenza di spazi su cui insediare il fotovoltaico ma anche la oggettiva assurdità di insediare tale tecnologia sui terreni agricoli, sottraendo preziosi ambiti sia alle produzioni agropastorali ma anche al valore urbanistico, ambientale e paesaggistico dell’Italia.
E’ pacifico il consumo di territorio, già estremamente preoccupante in Italia, introdotto da tali insediamenti industriali e inevitabilmente aggravato da moltissimi impianti, autorizzati e in attesa di realizzazione, solo momentaneamente invisibili.
 Da dati ISTAT, l’urbanista Paolo Berdini calcola con precisione che solo dal 1995 al 2006 sono stati occupati dall’uomo e cementificati circa 750.000 ettari di territorio. Quindi parcheggi, capannoni, strade, autostrade, case, palazzi, piazze, poligoni… senza alcun interesse storico o artistico. vi sarebbero ulteriori centinaia di migliaia di ettari compromessi dal dopoguerra in poi, anch’essi privi di significato storico.
 
a pur limitandosi ai 750.000 ettari accennati vi sarebbe tutto lo spazio per ricercare 46.000 ettari di superfici su cui insediare i 23.000 MW di fotovoltaico programmati, sebbene ne risultino realizzati già una notevole quota sui terreni agricoli.
 na soluzione banale, semplice, logica, invocata da tutti : allocare il fotovoltaico sulle superfici biologicamente morte di tetti, parcheggi e capannoni. Inverosimilmente si continua a disastrare il territorio per soddisfare solo la speculazione. E del resto se (oggi) i cittadini pagano oltre 5 mld di euro per incentivare il fotovoltaico ci si aspetterebbe che gli stessi cittadini possano avere parola in merito.
lla luce di questi dati, scaturisce chiaramente come la matematica non sia un’opinione ma la statistica possa essere abilmente manipolata.
 
o stesso quantitativo di energia prodotta dall’eolico italiano può apparire a una grande percentuale se rapportato ai consumi elettrici delle sole famiglie (che non hanno un peso esorbitante nell’assorbimento energetico totale del paese) ma può essere più realisticamente condotto a una bassa percentuale in relazione alle esigenze elettriche del Paese o addirittura infinitesima se rapportato all’intero fabbisogno energetico nazionale.
 La decantata Germania (fonti istituzionali tedesche
[5]) al 2009 ha installato la cifra record di 25.730 MW di capacità eolica con ben 21.164 pale che hanno ormai quasi saturato i siti utili per insediare tali impianti. Non meno imponente risulta lo sforzo, più recente, sul fotovoltaico, così come sull’efficienza energetica nel quadro di una politica complessiva.
 Tuttavia il 90% della totalità dei consumi energetici tedeschi (elettrico, trasporti, riscaldamento, ecc) è soddisfatto da fonti non rinnovabili (fossili, in gran parte carbone, e nucleare) mentre il restante 10% dalle rinnovabili, con il contributo eolico del 1,6%.
Tanto che la recente chiusura al nucleare prevista in questa nazione ha comportato la necessaria decisione di optare per l’apertura di nuove centrali tradizionali, a gas o carbone.
 
Considerando il solo comparto elettrico, l’apporto delle rinnovabili in Germania nel 2009 è stato del 16,4% di cui 6,7 % da eolico e 1,1 da Fotovoltaico (5,2% biomasse, 3,3 idroelettrico).
 
In Italia, allo stesso anno, le rinnovabili superavano il 21 % del fabbisogno elettrico, con un apporto garantito in gran parte dall’idroelettrico (15%).
 Per i tedeschi rimane almeno il risvolto economico derivante dall’indotto industriale legato a queste  tecnologie in buona parte di casa loro.
 

[1] http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/energie_rinnovabili/PAN_Energie_rinnovabili.pdf[2] http://www.lipucapitanata.it/wp-content/uploads/2010/06/ISTRUTTORIA-eolico-rev.20.05.10.pdf
[3] http://www.amicidellaterra.it/adt/images/stories/File/downloads/pdf/Energia/Comunicati/RAPPORTO%20OCSE%202011%20-%201.pdf
[4] http://www.gse.it/Pagine/Il-contatore-fotovoltaico.aspx
[5] “Development of renewable energy sources in Germany 2009” edito da federal Ministry for Environment, Nature conservation and Nuclear safety   -- “Status der Windenergienutzung in Deutschland - Stand 31.12.2009” edito da DEWI – German Wind Energy Institute (fondato dallo stato della Bassa Sassonia)

 

 IN CONCLUSIONE 

  Emerge chiaro come l’opzione eolica avrebbe dovuto essere assunta con moderazione, sobrietà e consapevolezza dei limiti, ancor più in Italia. E soprattutto con un confronto preventivo, scevro da idee preconcette. Tale opzione è stata invece assunta quasi a panacea di tutti i mali energetici, facendo deragliare l’attenzione sulle ben più importanti e consistenti opzioni di riduzione degli sprechi e di efficienza energetica.
 
Ovviamente tutti siamo favorevoli alla produzione di energia elettrica “pulita” e rinnovabile ma… a patti e condizioni. Nel nostro Paese l’eolico si è affermato con tutti i connotati di una vera e propria aggressione indiscriminata al territorio.
 
Si possono fare le scelte ritenute più opportune nell’interesse globale del Paese, anche se in questo caso non si può nemmeno parlare di “scelte”. Non è però accettabile che si faccia finta di non vedere la realtà: le centrali eoliche industriali sono del tutto incompatibili con la tutela del territorio, dell’ambiente, della fauna, del paesaggio. Si sarebbe dovuto prendere atto che tali insediamenti, in forza della loro entrinseca invasività e omologazione rappresentano un pesante sacrificio e, in quanto tali, avrebbero necessitato di modalità di inserimento ben più restrittive e non derogabili.
 
L’eolico rappresenta un fattore pesante in termini di uso del territorio nei suoi valori più nobili ed è come tale che avrebbe dovuto essere analizzato e valutato. E lo stesso dicasi per il fotovoltaico, dove è ancora più stridente il contrasto tra l’opzione di allocazione sulle superfici urbanizzate e quella disastrosa sui suoli, coltivati o meno che siano. Invece, giorno dopo giorno, qualunque azione è divenuta del tutto tardiva e inutile.
 
Le associazioni e i comitati più avveduti al tema ritengono in tutta ovvietà che il contributo delle rinnovabili debba andare nella direzione degli obiettivi di lotta ai gas serra stabiliti con i protocolli internazionali e magari anche oltre, in linea di principio.
 
Il predetto obiettivo, del resto, appare del tutto impraticabile ed effimero se non accompagnato da serie politiche di contenimento degli sprechi, di aumento dell’efficienza e della ricerca nel settore (imprescindibile ma trascurata), volti a contenere il complesso di domanda energetica su cui innestare qualsivoglia percentuale di rinnovabile che, altrimenti, finisce per essere una soglia anch’essa in continua crescita vanificando potenziali benefici.
 
L’assunzione di obiettivi energetici, come logico che sia, deve scaturire da una valutazione che tenga conto dei limiti territoriali verificati in chiave multidisciplinare, proprio perché le fonti rinnovabili, per loro stessa natura (hanno una bassa densità), tendono ad investire in maniera diffusa e consistente il territorio.
 
In caso contrario si potrebbe assumere qualunque percentuale obiettivo secondo i desiderata emotivi o, peggio, di settori “interessati”, ma essa sarebbe del tutto estranea alla sostenibilità ambientale parcellizzando indiscriminatamente centrali energetiche sul territorio, come per molte aree del Paese si sta purtroppo verificando.
 
Una questione delicatissima e strategica per la nostra Nazione che avrebbe dovrebbe conciliare vari interessi ricordando che il paesaggio e i valori territoriali non saranno mai delocalizzabili in Cina o altrove, continuando ad offrire una grande opportunità economica da cogliere e preservare.
 
Bisogna partire dai limiti produttivi e territoriali delle rinnovabili per migliorarne la resa e la sostenibilità in un quadro complessivo di politiche che ricomprendano anche altre opzioni ad alto valore aggiunto per capacità di contrastare la CO2 ivi compresa la ricerca nel settore. Non è possibile credere ciecamente nelle FER a suon di incentivi spropositati e deregolamentazioni, poi non più arginabili, per la gioia di faccendieri e speculatori. Insomma “rinnovabile”, si, ma innanzitutto “sostenibile”.
 
Questo dovrebbe essere l'assunto di una nuova, URGENTE politica per non sprecare risorse preziose, degradare i celebrati valori del territorio italiano e per di più ottenere risultati poco apprezzabili.
 
L’attuale sistema premia indiscutibilmente, e nel caso dell’eolico ben oltre ogni ragionevole misura, le rinnovabili elettriche, lasciando al palo le rinnovabili termiche e trascurando altri settori fondamentali come l’efficienza energetica.
 
Ammonta a quasi 21.000 GWh l’energia elettrica persa nella rete [1], ben oltre l’apporto energetico che ci si attende da tutto l’eolico che si vorrebbe installare nel Paese. Nel campo dei trasporti, invece, responsabili per ben circa un terzo del nostro fabbisogno energetico, si assiste a un totale immobilismo se non a clamorosi passi indietro come quelli nel campo ferroviario, con la chiusura di intere tratte.

 In estrema sintesi, è ora improcrastinabile :

 -      tagliare gli incentivi al nuovo eolico, compreso gli impianti fino a 1 MW
 
-      rimodulare gli incentivi al fotovoltaico tagliandoli definitivamente per gli impianti al suolo, anche quelli fino a 1 MW (ad eccezione di quelli davvero di piccola taglia), e mantenendo interesse finanziario solo per quelli da realizzarsi in ambiti antropizzati e urbanizzati (salvaguardando ovviamente i complessi storici e identitari). Quest’ultimo aspetto sarebbe, evidentemente, interessante anche sul piano popolare, in un momento di congiuntura in cui le famiglie potrebbero ambire a integrazioni al reddito rendendo disponibili i tetti dei propri condomini
 
-      aprire un tavolo di confronto istituzionale che favorisca l’analisi critica del fenomeno, e avvii una seria valutazione sulla bonifica delle situazioni più insostenibili allo scopo di valutarne le conseguenze e ogni possibile correttivo, addirittura ipotizzando potenziali delocalizzazioni per gli impianti più deleteri in base a una sorta di “edilizia negoziata” per impianti rinnovabili
 
-      orientare le risorse verso le rinnovabili termiche, il risparmio e l’efficienza energetica, i trasporti ma soprattutto in direzione della ricerca, senza della quale un simile disegno rimarrebbe monco e subordinato passivamente alle indicazioni innovative di altri paesi. Senza la ricerca, le nuove rinnovabili continueranno ad arrancare con produttività complessive infinitesime e deludenti. Tutta la questione energetica è un settore in cui l’assenza di ricerca non potrà che comportare conseguenze gravi nel futuro prossimo venturo.


[1] Dati GSE 2011 su bilancio energetico italiano 2010

 

 

 Enzo Cripezzi è coordinatore LIPU per la Puglia e la Basilicata, membro della Commissione LIPU sull’Energia

 

 

 

 

 

 

Data: 19/12/2011
Autore: ENZO CRIPEZZI
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