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MANUALE DI CONVIVENZA - Sui lupi e sui cinghiali

 In questi ultimi giorni si è parlato molto dell’indagine conoscitiva sui presunti danni causati dalla fauna selvatica all’agricoltura e agli allevamenti, presentata dalla Commissione Agricoltura alla Camera dei deputati. Questo documento contiene la ventilata possibilità di aprire quella che in molti hanno definito la “caccia al lupo”, animale rarissimo e particolarmente protetto dalle normative nazionali ed europee. Il raro predatore, secondo l’indagine, causerebbe danni alle imprese zootecniche.
 
Il popolo di Internet e le associazioni animaliste ed ambientaliste si sono subito mobilitate, perché sebbene non vi sia in atto alcun progetto di legge in tal senso, è sempre bene non abbassare la guardia e fermare ogni iniziativa che possa aprire la strada ad ulteriori massacri.
 
Quello che però deve indignare ancora di più tutti noi è senza dubbio l’impostazione e le conclusioni che emergono da questo lavoro, che a mio avviso è una vera offesa alle capacità critiche di ogni italiano medio.
 
Non si tratta certo delle audizioni delle singole associazioni che cercano di difendere le loro posizioni, (anche se alcune lo fanno in maniera dettagliata e in linea con la legge e con la scienza, mentre altre, come ben sappiamo, antepongono i loro interessi privati al rispetto delle regole).
 
Quello che suscita scalpore è la scarsa capacità di giudizio di un organo in seno alla Camera dei Deputati; tale organo dovrebbe saper ascoltare e valutare le singole posizioni ma deve anche garantire il rispetto della legge attenendosi a dati scientifici precisi che non possono essere  “adattati” a interessi di parte.
 
Invece la Commissione Agricoltura, probabilmente con la paura di scontentare qualche portatore di rilevanti interessi economici, è giunta a delle conclusioni contenute in un documento di basso livello, che dice tutto ed il contrario di tutto, senza scegliere le soluzioni più ovvie, più opportune, più sensate, più rispettose delle norme, più moderne e scientificamente accettabili sulle modalità di contenimento dei presunti danni causati dalla fauna selvatica.
 
Così si sostiene ancora il principio degli abbattimenti selettivi senza dire chiaramente che le immissioni di fauna per fini venatori – legali e non - stanno creando grandi squilibri ambientali e che quindi vanno assolutamente vietate, per qualsiasi specie.
 S
i dice anche che i lupi sono tanti, ma in realtà non si è in grado di distinguere tra la predazione avvenuta ad opera di questi splendidi mammiferi da quella di cani randagi inselvatichiti, né si è in grado di quantificare la popolazione di lupi con certezza.
 
Come si può condurre a conclusione un’indagine conoscitiva senza il supporto dei dati scientifici? Perché, nonostante l’assenza di dati scientifici, non si dice chiaramente che i ripopolamenti devono essere vietati, e che a chiunque lasci incustodito il gregge o gli altri animali da allevamento, di giorno come di notte, non saranno rimborsate le perdite subite? Perché la legge 157/92 continua a non essere applicata, soprattutto per quanto concerne l’adozione dei metodi ecologici e non cruenti per prevenire i danni, strumenti che sono prioritari a qualsiasi forma di abbattimento? E ancora, cosa c’entra la gestione della fauna selvatica - di ovvia competenza del mondo scientifico – con il mondo venatorio?
 
Insomma, i risultati di questa indagine conoscitiva sembrano concentrati non tanto sulle cause e sulle possibili risoluzioni, quanto sugli interessi (legittimi e illegittimi) e sugli effetti di un’errata politica di gestione faunistica, gestita impropriamente da amministrazioni in accordo con il mondo venatorio e con le lobby degli armieri, in un territorio sempre più cementificato e devastato da produzioni agricole intensive, e con sempre meno habitat a disposizione degli animali selvatici, costretti a “invadere” i campi.
 
Un documento di impostazione arcaica, antica, sorpassata, pieno di supposizioni e teorie, che rimane ancorato all’idea che uccidere animali selvatici, siano essi rari come i lupi o più comuni come il cinghiale, rappresenti ancora una strada percorribile, anche dopo che decenni di abbattimenti selettivi non hanno portato a nessun risultato. Evidentemente, il mondo politico è rimasto indietro di qualche decennio.

 

Data: 30/07/2011
Autore: ANDREA BRUTTI
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