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Si faccia grazia al cavallo
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 Come se spettasse davvero a noi decidere chi meriti di vivere e chi invece possa esser mangiato, sul cavallo si discute da anni. Nella sua sfortunata e triplice veste, animale da carne, da lavoro e dall'uomo capricciosamente amato, avrebbe particolare diritto di chiedere qualcosa in cambio per l'incredibile contributo reso all'evoluzione di quella stessa specie che lo vessa.
 Cavallo animale d'affezione, allora. L'abbiamo sentito proporre tante volte e pure ostentare, nelle intenzioni, da più di un politico intenzionato a mettersi in mostra senza preoccuparsi di fare i conti con la realizzabilità dell'impresa. N
ell’ipotesi di un passo tanto civile e auspicato, invece, s’imporrebbero questioni tuttora poco considerate.
 S
e oggi infatti si conosce il destino dei soggetti allevati per il mercato alimentare, nebulose sono le sorti di quelli impiegati per il lavoro e lo sport. Un cavallo che abbia gareggiato non può essere macellato. Non per scrupoli etici, ma a causa delle sostanze che avrebbe assunto: antinfiammatori, antibiotici. In assenza di anagrafe equina, basta qualche mese di inattività perché un animale goda della conversione da atleta a carne. Ma una volta proibita la procedura cosa fare, in vecchiaia, di tutti i cavalli presenti sul territorio? Considerando gli esemplari mantenuti negli ippodromi, nelle scuderie di salto ostacoli, attacchi, ippoterapia, pali che si svolgono sovente in condizioni da medioevo, abbiamo centinaia di migliaia di animali che nemmeno da vivi godono di alcuna protezione. Gli organi deputati a controllare le attività dei cavalli sportivi e il denaro che vi ruota attorno, come l’Unire (Unione nazionale incremento razze equine) o  la Fise (Federazione italiana sport equestri) non fanno nulla per proteggere gli affiliati quadrupedi. Se gli unici controlli in vigore, quelli antidoping, sono perlopiù prerogativa degli ippodromi, per quanto concerne le quotidiane violenze, punizioni, costrizioni tese a ottenere prestazioni insostenibili, sostanze iniettate in via periferica per rendere gli arti più sensibili, i suddetti enti  lasciano che ognuno si regoli come meglio crede. La Fise, che richiede quote annue a tesserati e cavalli registrati, tasse d’iscrizione ai concorsi ippici, non ha mai ad esempio proposto di utilizzare una piccola quota degli introiti per creare un fondo nominale a ciascun animale. Se il pensionamento di un cavallo anziano dev’essere cura del proprietario, nessuno di coloro che invocano l’estensione degli sport equestri a un’ampia fascia di utenza fornisce aiuto in tal senso.
 Al contrario, ci sarebbe un grandissimo bisogno di facilitare, rendere il più possibile semplice e decorosamente a buon prezzo il sostentamento dei cavalli vecchi o malati, non solo attraverso incentivi ma anche mediante cultura e educazione nuove. Incoraggiare, premiare e riconoscere ufficialmente solo quelle strutture equestri o ippiche che dispongano di spazi sufficienti a garantire agli animali buone condizioni di vita, quindi a proporre un pensionamento in loco. Valorizzare la presenza, la compagnia, l'interesse etologico e infine il pregio educativo della vicinanza di cavalli non funzionali a qualche impiego, ma semplicemente belli, amabili, sensibili, di compagnia.
 Di sicuro
andrebbe anche riveduto il sistema allevatoriale, che ogni anno mette al mondo un numero incredibile di soggetti senza che esista alcuna possibilità, in un futuro che si calcola in media nell'arco di 12-17 anni dalla nascita, di provvedere decentemente a tutti.
 Un ultimo pensiero alla varietà di razze italiane autoctone, tante a rischio di estinzione come gli Orientali siciliani, i pony di Monterufoli, o gli asini amiatini? Impedirne l’uccisione assumerebbe pieno significato quando si incominciasse anche a garantirne l’esistenza.

 

Data: 23/08/2011
Autore: ILRESPIRO.EU
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