A ogni scatto del clima guardiamo al passato come per rassicurarci che quanto sta accadendo sia già avvenuto, in un qualche momento non troppo sperduto nel tempo. Di questa stagione dunque non avrebbe mai fatto così caldo da 150 anni e per farsene una ragione chi può va al mare. I media ci raccontano, a metà fra la frivolezza e l’elenco delle temperature, i nostri stabilimenti balneari che prolungano l’attività fino al 30 ottobre e gli altri paesi europei alle prese con simili anomalie. Del futuro non si parla granché, perché è giustamente imprevedibile. Il riscaldamento globale porterà probabilmente alluvioni, brevi punte di freddo rigido, magari movimenti della crosta terrestre: quando e come non sappiamo, ma non certo tanto in là.
 Sarebbe sciocco infatti non rilevare che i cambiamenti stanno avanzando a una velocità assai superiore alle più nere previsioni e il conforto che cerchiamo guardando ai secoli trascorsi non trova alcun riscontro serio. Nulla infatti nella storia della terra assomiglia al caldo ferocemente inquinato che abbiamo conosciuto in agosto e che continua a lambirci con la sua onda lunga. Nulla è parente della carica di insetti e parassiti che quest’anno si sono dimostrati insensibili a qualunque repellente tradizionale, per forte e invasivo che fosse (dove sono finiti gli uccelli e i pipistrelli che un tempo li mangiavano?). Nulla, ancora, assomiglia alla domanda che per la prima volta forse ci si pone così netta: cosa succederà in termini pratici se l’estate prossima dovesse essere peggiore?
 Se il mondo e in particolare la società occidentale stanno vivendo una stagione difficilissima a causa della crisi economica, ci si presenta con urgenza la necessità di ragionare sulle formule del possibile rilancio. Quale benessere infatti siamo in grado di immaginare in un pianeta distrutto dalle nostre stesse industrie? Quale economia – dal turismo, all’agricoltura, alle più svariate produzioni e imprese – può funzionare senza stabilità climatica, senza condizioni di salute, senza che sia messo a serio rischio l’accesso alle risorse primarie?
 Non ci consola affatto pensare che gli sconquassi meteorologici e i cataclismi non distinguono fra ricchi e poveri e alla fine nemmeno tycoon e palazzinari disporranno di cieli sereni sotto cui organizzare feste, ma saranno divorati da cancri e zanzare quanto il disoccupato. Piuttosto, è necessario scrollarsi subito di dosso il torpore indotto da abitudini sbagliate. La prima di queste è accettare che la politica seguiti ad attribuire alle questioni ambientali un ruolo di ultimo piano e interloquisca solo con un’imprenditoria miope, cinica e irresponsabile.
 E’ questa la vera questione su cui arrabbiarsi sul serio, non accettare compromessi, chiedere interlocutori nuovi e garanzie di ferro. Non per quello che oggi ci si profila come un futuro incerto, ma semplicemente per sperare in un futuro.