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Gli animali della nostra infanzia
copyright Walt Disney

 Nel 1696 presso l’editore parigino Claude Barbin escono “I racconti di Mamma Oca”: undici fiabe – otto in prosa e tre in versi – firmate da Charles Perrault che le ha raccolte dall’antica tradizione orale popolare, e non è stata affatto una cattiva idea poiché sono bellissime e per tale ragione egli non verrà mai dimenticato. Le protagoniste sono quasi sempre fanciulle. Cenerentola, che deve vedersela con l’invidia delle sorellastre. L’eroina di Barbablù alle prese con un maschilista antesignano dei serial killer; la Bella Addormentata nel Bosco vittima di maledizione contratta attraverso puntura da arcolaio, con possibilità di riscatto via bacio. Cappuccetto Rosso, più attiva, disobbedisce invece alle insistenti raccomandazioni della mamma e di conseguenza incappa nel lupo, secondo il celebre psicoanalista Bruno Bettelheim e non solo, chiara metafora della maturità sessuale, vale a dire dell’incontro della pre-adolescente con il maschio.
 Grazie di volta in volta ad aiuti magici se non all’intervento di parenti, principi o cacciatori, le ragazze alla fine se la cavano senza dover spremere troppo le meningi. Attività al contrario ben esercitata dal Gatto con gli Stivali, che si dimostra di gran lunga il personaggio più brillante della storica serie. Come ognun sa, trattasi di un micio pervenuto in unica eredità al terzo figlio di un mugnaio. Il giovanotto, privo di qualsiasi abilità o spirito d’iniziativa, da principio se ne dispera; più in là non finirà di ringraziare la sorte. Antropomorfizzato come i protagonisti delle severe favole di Esopo (La volpe e l’uva, La formica e la cicala) ma al contrario privo di funzione morale e di eccessivi scrupoli, il baffuto riesce nell’impresa di spacciare il suo protetto per il Marchese di Carabas. Sempre con l’astuzia il gatto sconfigge un orco e ottiene che il padrone, se non altro di bell’aspetto, sposi nientemeno che la figlia del re.
 
Si dice che nei nostri sogni gli animali spesso rappresentino le emozioni. Scelti a tale proposito dall’inconscio in quanto figure arcaiche, istintuali, di cui avvertiamo fortemente la presenza ma che allo stesso tempo non hanno sembianze della persona riconoscibile e consapevole. Anche nelle fiabe rivestono di solito una funzione simbolica. Quando la vicenda è fra animali, vedi la lepre e la tartaruga, il lupo e l’agnello, se ne assumono alcune caratteristiche specifiche come la lentezza, la velocità o l’attitudine predatoria, in funzione però di affrontare e dirimere questioni umane. Altre volte invece l’animale serve a trasformare. Pelle d’Asino ad esempio deve sfuggire alle fissazioni del re padre incestuoso e non riesce a opporsi  con capricciose richieste femminili: abiti color dell’aria, della luna, del sole. Allora pretende il sacrificio del ciuco fatato che al posto di sterco depone sulla lettiera oro e diamanti. Avvolta nella sua pelle, finché qualcuno non giunga a liberarla, non sarà più principessa, ma serva. Non più donna, ma bestia.
 
Di concezione moderna sono i meravigliosi racconti di Joseph Rudyard Kipling, il quale ha trascorso l’infanzia in India e conosce l’Africa, dunque fra la fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso sa scrivere di animali di ogni genere. Inventore di leggende circa le macchie del leopardo, la pelle del rinoceronte e le ragioni per cui di notte il gatto se ne va in giro per i tetti, anche all’interno de “Il libro della Giungla” inserisce alcune narrazioni di animali a sé stanti, fra cui il capolavoro Rikki-Tikki-Tavi. Povero il giovane – peggio se anziano - lettore che ignori la grande guerra combattuta dalla mangusta indiana nel bagno del bungalow inglese a Segowlee, per difendere la famiglia ospite e soprattutto il bambino Teddy dagli agguati dei cobra Nag e Nagaina. Le lotte di Rikki Tikki, il cui nome viene dal grido che lancia in battaglia quando ha gli occhi rossi come la brace, sono coraggio, tecnica e azione di cui è impossibile non custodire esaltante ricordo.
 Per i bambini odierni, che sempre più hanno esperienza del mondo naturale solo attraverso la televisione o il Web, la perdita di confidenza diretta con gli animali è un peccato. Questi ultimi infatti offrono l’opportunità di assistere a strategie di adattamento alla vita differenti dalle nostre. Osservandoli possiamo compiere un mucchio di considerazioni su di loro ma, come c’insegnano le fiabe, anche su di noi. Non è un caso che la fortuna originaria dei disegni di Disney non si basi su fisionomie umane. Non lo è nemmeno che tante terapie di sostegno a disabili richiedano la collaborazione di cani, gatti, cavalli, asini, persino delfini. Che questa via di comunicazione senza vincolo di appartenenza a specie possa significare davvero qualcosa per la coscienza contemporanea? Un passo nella conoscenza, forse, oltre le barriere dell’antropocentrismo, incapace di fornirci tutte le risposte.
 
Del resto, ricordate cosa canta Mowgli, il ragazzo cresciuto con i lupi, in coda al Libro della Giungla? E’ stato scacciato dal branco degli animali e quello degli uomini, si è riscattato uccidendo la grande tigre Shere Khan e dice: “Le lacrime piovono dai miei occhi; eppure mentre esse cadono io rido. Perché? Ci sono due Mowgli in me, ma la pelle di Shere Khan è sotto i miei piedi... Ahoe! Il mio cuore è oppresso dalle cose che io non capisco.”

Data: 23/06/2011
Autore: MARGHERITA D'AMICO
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