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Antropomorfizzazione
Oscar Grazioli

 Ho scritto recentemente un articolo sul’antropomorfizzazione degli animali, attività particolarmente deleteria cui i proprietari di pet (animali d’affezione) si dedicano sempre più volentieri, spesso colmando carenze affettive e sessuali che li colpiscono nell’intimo. Se, da una parte, molto spesso depressione, solitudine e altri disturbi dell’umore rispondono a quella che oggi viene, in modo un po’ radical chic, chiamata “pet  therapy”, mentre null’altro è che la compagnia di un animale, dall’altra parte si arriva all’esagerazione di pensare che ogni condizione difficile dell’animo umano debba per forza essere curata con l’ausilio di un cane, un gatto o un coniglietto nano.
  In realtà la pet therapy, di cui tutti oggi si riempiono la bocca (spesso a sproposito) è semplicemente il legame che ha spinto l’animale solo a frequentare l’uomo solo, con evidente mutuo piacere e utilità.
  Senza andare a ritroso nei tempi preistorici, quando avvenne l’addomesticamento del cavallo e del cane, è sufficiente prendere in mano le cronache carcerarie di pochi decenni fa, quando il carcerato trovava sollievo nella sua vita di forzata clausura dalla presenza di un topo, di un uccellino o anche solo di un ragno.
  Chi ha visto quel capolavoro che è Il miglio verde può certamente capire cosa intendo. Allora la tanto blasonata “pet therapy” era ben lungi da venire. Eppure proprio di quella si trattava, anche se non ne portava un nome divenuto così famoso (e ritrito).
  Dunque la vicinanza dell’uomo con l’animale, solitamente gatto, cane o cavallo, assume valenze psicologiche di notevole portata, quando ben indirizzata dal medico, dallo psicoterapeuta e dal veterinario esperto (che deve essere anche un finissimo psicologo), specialmente per quanto attiene la vita affettiva di anziani, bambini o di persone sole. Diversamente, se impostata con una sorta di “fai da te”, può diventare un inferno per i proprietari, ma soprattutto per l’animale che è stato scelto in questa paco allegra compagnia.
  Un giorno di qualche anno fa mi chiama una signora per una visita a domicilio. Caldo afoso come in questi giorni e il suo amato cocker non esce più dalla cuccia. Entro nell’abitazione e mi viene incontro una donna giunonica che, alta 1,60 m. circa, pesava di certo ben oltre il quintale. La faccio breve: ho dovuto trasformarmi in carpentiere e togliere le viti della cuccia perché Tom non è che non avesse voglia di uscire perché mogio e depresso, ma, pesando ormai una trentina di chili, aveva raggiunto il punto di non ritorno, ovvero la mancata possibilità fisica di uscire.
  Pochi mesi fa mi portano in ambulatorio un gatto persiano di mezza età, magro, leggermente disidratato, con un’imponente dermatite seborroica untuosa e con evidente calo della vista. Vado in sintesi anche qui. I proprietari, due salutisti tutti dieta e palestra lo avevano sottoposto per anni alla loro stessa alimentazione, praticamente priva di grassi e colesterolo, obbligandolo per di più a giocare e fare “attività fisica” almeno due ore al giorno.
  La totale ignoranza del fatto che il gatto necessità di almeno un 50% di grassi nella dieta che deve essere integrata con un aminoacido noto come taurina, lo aveva ridotto con un tasso di colesterolo nel sangue di 35 (valore normale fino a 250). Insomma, lo avevano ridotto a uno traccio semicieco. Per il suo amore, s’intende.
  Non è difficile, in giorni caldi e afosi, vedere qualche palestrato, talebano del fitness, correre ai margini della circonvallazione verso le 16, ingurgitando quantitativi di catrame, anidride solforosa e monossido di carbonio da camera a gas. Pur di correre. Il problema diventa drammatico quando, legato alla cintura del pirla, c’è un cane riottoso che se ne starebbe volentieri a casa sotto la quercia a dormicchiare prendendo quel filo d’aria che c’è in giardino, mentre è costretto a correre in mezzo ai miasmi mefitici che il padrone sniffa almeno volontariamente.
  Senza volerne fare uno spregiudicato sport pubblicitario, ricordo l’episodio narrato per esteso nel mio libro appena uscito, relativo alla Lucertola profumata, dove i due proprietari che le erano affezionati visibilmente l’avevano costretta a una paralisi per carenza di Vitamina B a causa di un’esclusiva alimentazione a base di petali di rose che lei gradiva con gioia, ma il suo fegato molto meno.
  L’amore per gli animali può ucciderli e talvolta si tratta di vero amore, anzi di sconfinato amore, perché sconfina talmente nell’ignoranza, da metterne a serio rischio la vita, pur di soddisfare le proprie esigenze umane. Sono i rischi dell’antropomorfizzazione che suscita un sottile e perverso affetto in grado di stringere nelle proprie spire mortali l’”oggetto” della pet therapy. E talvolta anche il soggetto.

 

 

 

 

 

 E' uscito il nuovo libro di Oscar Grazioli: Quello che gli animali non dicono, Edizioni L'Età dell'Acquario. 36 storie di animali - specie con cui abbiamo dimestichezza, come cani e gatti, ma anche rettili, cavalli, scimmie e tanti altri - riportate da un narratore molto speciale. Veterinario, giornalista e scrittore, da anni impegnato per la tutela dei loro diritti, Grazioli guarda agli animali con l'occhio esperto e affettuoso di chi apprezza l'individuo nel suo essere specifico, diverso, e unico.

 

 

Data: 21/07/2010
Autore: OSCAR GRAZIOLI
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