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CACCIA: LE ARMI IN FAMIGLIA
Margherita d'Amico e' scrittrice, pubblicista e presidente de La Vita degli Altri onlus

  Oggi e domani a Roma, in Piazza Montecitorio, le principali associazioni ambientaliste e animaliste manifesteranno davanti alla Camera dei Deputati chiedendo di non approvare l'assurdo articolo 43 della legge Comunitaria, che consentirebbe alle regioni di modificare i termini massimi della stagione di caccia.
  Poiché è la terza volta, in un anno o poco più, che si persegue a forza l'obiettivo di deregolamentare e incoraggiare irrazionalmente l'attività venatoria, diletto di una minoranza di settecentomila individui dimezzati rispetto al milione e mezzo degli anni Novanta, sgraditi alla maggioranza dei cittadini (perlopiù abolizionisti) come i sondaggi testimoniano, diviene urgente non solo domandarcene la ragione, ma anche formulare una risposta. 
   Benché è fuori discussione che chiunque abbia coscienza evoluta sul rispetto della vita, la conservazione della natura, la salvaguardia della bellezza, della sensibilità e dell'intelligenza, consideri oggi la caccia in Occidente un'occupazione da primitivi, al riguardo la collettività opera una rimozione relegandola in uno spazio - i boschi e le campagne - che non è più lontano. Divorato anch'esso da alcune logiche, quelle dell'industria, che ne vorrebbero insieme l'esistenza e il consumo.  
  Nel caso della caccia, esiste una particolare produzione che costituisce il cuore della vicenda. Quegli utensili dotati dell'esclusiva funzione di uccidere, chiamati armi. 
  Nella legalità, le armi si usano in guerra, nella sicurezza pubblica, per la difesa personale e per la caccia.
  Nei primi due casi, le armi sono appannaggio di militari e polizia. Nel terzo caso, nel nostro Paese, per fortuna non sono ostentate, né concesse con grandissima facilità. 
  La caccia, in ultima analisi, rimane dunque il ponte fra le armi (di cui l'Italia è ricco produttore e esportatore) e il comune cittadino. 
  La caccia e i cacciatori costituiscono l'unica legittimazione possibile dell'immagine delle armi in mezzo alla gente. Consentono la diffusione di materiale - riviste, dvd - e l'organizzazione di eventi - fiere, raduni - che ne promuovono più o meno direttamente la vendita. 
  Le armi da caccia fanno parte della categoria delle armi leggere, che include anche mitragliette, bombe a mano e altre amenità, con cui si combatte circa il novanta per cento delle guerriglie che insanguinano il pianeta. Questa fascia giuridica gode di enormi facilitazioni nella circolazione internazionale, a differenza delle armi pesanti, non solo per un fatto di dimensioni, ma in virtù della scusa che i cacciatori abbiano il diritto di viaggiare per andare a sparare a leoni, elefanti, giraffe, orsi, a proprio piacimento. 
  Ma rimaniamo in casa. Grazie all'articolo 842 del Codice Civile, i cacciatori possono entrare nelle proprietà altrui, a meno che non siano costosamente recintate, e sparare fino a 150 metri dalle abitazioni. Anche con carabine che raggiungono gittate di 3.500 metri, pari ad armi belliche. 
  I requisiti minimi imposti dal Ministero della Salute per concedere licenze venatorie sono incredibili: se per la difesa personale bisogna perlomeno contare su vista binoculare, per la caccia si può essere monocoli, e portare gli occhiali. Inoltre, gli arti superiori possono essere sostituiti da protesi, "purché buone". (http://gazzette.comune.jesi.an.it/143/8.htm)
 Un cacciatore, volendo, può possedere un vero e proprio arsenale. Sono armi presenti in una dimensione domestica, nelle famiglie, in un momento storico in cui ci si trova a contrastare con estrema difficoltà criminalità comune, bullismo, sopraffazione e violenza nei giovani e negli adulti. 
 Personalmente, sto lavorando da un anno alla realizzazione di un documentario che, pur senza trascurare gli animali (noi contribuenti, tra l'altro, ci prepariamo a pagare all'Unione Europea ingenti multe a causa dello sterminio di milioni di esemplari protetti, per le compiacenti deroghe venatorie concesse da 13 delle nostre regioni) analizza la caccia anche e soprattutto dal punto di vista dell'impatto sull'uomo. 
  E' un lavoro che richiede ancora qualche tempo per giungere al suo completamento. Sia perché non è semplice trovare finanziamenti davvero autonomi su un simile tema.  
  Sia perché mi piacerebbe tirare le somme ascoltando ogni parte in causa, e nessun rappresentante delle istituzioni coinvolte ha finora accettato di lasciarsi intervistare sull'argomento, che include anche di rispondere a proposito della lista annua dei morti per incidenti venatori.  
  Sia, infine, per la difficoltà incontrata nel reperire alcuni dati che ritengo fondamentali per la mia inchiesta.  A più riprese infatti mi sono rivolta alla Polizia di Stato, domandando se fosse possibile sapere quanti delitti, fra omicidi e ferimenti, siano stati commessi in Italia negli ultimi dieci anni con armi da caccia, data la loro enorme diffusione nelle abitazioni civili. E anche quanti autori di delitti fossero, incidentalmente, titolari di patentino venatorio. 
  Ho naturalmente incontrato grandissima cortesia, ma pur insistendo non ho ottenuto alcuna risposta. Sembra che questi dati non esistano. Talvolta, mi è stato spiegato, simili richieste costituiscono buone occasioni per elaborarli. Tornerò a disturbare.

Data: 19/04/2010
Autore: MARGHERITA D'AMICO
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