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IL PAESAGGIO E' UNO STATO D'ANIMO - Resistere alla bruttezza intorno a noi
Jean-Francois Millet, Il seminatore, olio su tela, 1850, Boston, Museum of Fine Arts.

  "... Penso che davvero le cose brutte che ci circondano possono generare un autentico malessere - dice la psicoanalista Simona Argentieri - i palazzi, le insegne dei negozi, i lampioni a luce fredda certamente causano, se non nevrosi, un alto tasso di infelicità, facendoci correre il rischio di dimenticare che la colpa non è delle "cose", ma della distrazione, del cinismo, della volgarità degli altri uomini che hanno popolato di mostruosità il nostro scenario quotidiano. 
  Peraltro, se gli oggetti d'uso comune ci sono ostili, noi spesso li ripaghiamo di uguale moneta: oscilliamo dall'ambigua saggezza del disinvestimento emotivo, indispensabile per l'"usa e getta", al feticismo ansioso del possesso; tributiamo al tempo stesso ipervalutazione (nella produzione, nell'acquisto, nel consumo) e nessuna cura.
  L'affezione alle cose si basa sulla loro storia, sui significati simbolici che riescono a evocare; rappresentano i legami con gli altri e con noi stessi nello spazio e nel tempo. Gli oggetti moderni invece, come si sa, invecchiano presto e male; se il segno dell'usura è pieno di fascino sul legno, è invece orribile sulla plastica. Precari e deperibili, non ci consentono di raccogliere un'eredità dal passatore moto e non alimentano la speranza (già così flebile) di lasciarli in dono, a nostra memoria, alle generazioni future".
  Io ho trovato un modo di resistere alla bruttezza intorno a me, bruttezza che può perseguitarmi come perseguita tutti quelli che si guardano intorno e che non possono dimenticare quello che i loro occhi hanno visto. La mia principale strategia di resistenza in questi tempi, oltre a quella di tenermi vicino alle poche cose buone, quelle in  cui ho visto  bellezza e  significato - un film, una parola detta da qualcuno, una canzone, una bella notizia - la mia strategia di resistenza attuale è quella di piantare alberi.
  "Aux arbres, citoyens!", canta Yannik Noah, sull'aria della Marsigliese. Poiché bisogna cambiare il mondo, andiamo agli alberi: per tornare a guardare la vita, per vederla come può essere, stabile e calma e generosa e durevole. Andiamo agli alberi seminandoli, piantandoli, proteggendoli.  
  Io faccio piccole cose, faccio talee di ogni bel cespuglio che incontro: stacco un rametto robusto, uno che mi fa l'occhietto consenziente, e lo metto nel bicchiere, nella sua culla d'acqua, finché non ha tirato fuori i  pallidi rametti dell'infero, le radici, e allora va nel suo vaso di terra, piccolo, che le radichette abbracci ancora amorosamente; e semino tutti i semi che posso, da quello del limone all'acino d'uva, memore della ricca , frondosa pianta di vite nata da un acino d'uva caduto dal becco di un uccello in volo sul mio terrazzo, e innaffio irresistibilmente qualunque pianta, anche altrui, che mi capita di vedere con le foglie secche - lo faccio al bar, in libreria, nel negozio di fotocopie, in clinica - e raccolgo da terra i vasi buttati là di piante semimorte proprietà di qualcuno che credeva che le piante vivono di sola aria e se ingialliscono vuol dire che sono morte, non che hanno sete e vanno innaffiate, che è la verità.  
   Io non regalo mai fiori recisi, che sono dei moribondi, regalo piante in vaso, e curiosamente succede che la persona che ha ricevuto la pianta rincontrandomi mi comunica che, sai quel ciclamino che mi hai regalato due Natali fa? E’ grande, continua a fiorire, è una meraviglia! E forse sta dicendomi che l'amore, che ingrassa come è noto il cavallo, l'amore di qualcuno che ama i fiori si comunica e ingrassa a sua volta la creatura vivente donata. Ingrassa: fa vivere. 
   Come "Terre des Hommes", l'associazione di volontari che anni fa raccoglieva semi di ogni genere, come a dire in questa stagione noccioli di ciliege, albicocche, pesche, susine, mele, agrumi, e con  un elicottero ne scaricava ogni giorno un quintale e mezzo in Africa, nel Sahel, la terra desertificata: per ogni filo d'erba che nasceva, un filo nuovo d'ombra proteggeva la nascita di un altro filo verde, e la terra veniva strappata alla siccità e alla morte.
   Prova, caro lettore, a guardare ogni pezzo di terra libera non come un deserto abbandonato ma come un campo da seminare; vedilo, con gli occhi della tua fantasia, diventato verde, fresco, con fiori e magari con frutta colorata, e un pettirosso che fa colazione con una bacca. 
A Roma, in via Manara, un condominio ha recentemente deciso di trasformare una brulla scarpata abbandonata che arrivava al suo primo piano in un giardino senza pretese ma con il suo olivo, la sua siepe, i suoi cespugli che faranno fiori; subito c'è stata l'eco positiva perché qualcuno nel quartiere ha lasciato una lettera di congratulazioni nel secchio con cui il portiere diligentemente innaffia il nuovo giardino, e ha donato una pianta da fiori come compagna a quella già esistente. Una piccola storia, ma piccolo non vuol dire non importante. Come dice il Tao, un grande viaggio cominciò da un primo passo, e l'immenso albero del sesamo nacque da un seme piccolissimo.
   Più che mai in questi tempi bisogna resistere alla svalutazione dell'esistente. Di noi stessi, del mondo intorno. E' vero che in questo mondo non c'è giustizia e che c'è troppa bruttezza, perciò essere tristi per questo, ma non depressi, ossia paralizzati. Si deve vivere bene momento per momento, capovolgendo tutti pensieri negativi:
"E' troppo tardi per tutto"
diventi:
"Non è mai troppo tardi per essere vivi".
"Non posso far niente di fronte alla barbarie"
diventi:
"Io voglio...e io voglio...e io avrò..."
"Piante intorno a me, alleati con me, vita per me e per gli altri."
  Questo è il significato in tutte le culture, in tutte le epoche, del piantare alberi.
   Il bersaglio da colpire è la paura, la timidezza rinunciataria, che rende pesanti e immobili, che fa tirar via di fronte all'abbandono e allo scempio. Prova invece, caro lettore, a confutare il solito diavoletto interno che ci rende scontenti sussurrandoci: "A che serve? Tanto non ce la farai mai, è tutto inutile", e confutalo punto per punto quasi ad alta voce, dicendo "Non è vero che (tutto è inutile e che io  non ce lo faccio) perché..." e qui tre validi motivi per cui le parole cattive non sono veritiere. Così l'energia ci torna, e possiamo stendere la mano per innaffiare, piantare, amare.

 

La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro

 

 

Data: 12/07/2010
Autore: LUCIANA MARINANGELI
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Jean-Francois Millet, Il seminatore, olio su tela, 1850, Boston, Museum of Fine Arts. 
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