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TARTARUGHE MARINE IN CALABRIA: L'ULTIMO RIFUGIO ITALIANO

   Costa ionica reggina, primi di giugno 2010: gli occhi allenati di due ricercatori, in marcia sin dalle prime luci dell’alba lungo un esteso tratto d’arenile, s’imbattono in una traccia inconfondibile, ben delineata sulla spiaggia levigata dal vento e dal mare e ancora priva di segni di calpestamento umano. E’ la traccia lasciata da una femmina di Tartaruga marina, emersa durante la notte per deporre un centinaio di uova in una buca da lei stessa scavata nella sabbia.
  L’emozione è forte, anche perché si tratta della prima nidificazione accertata nella nuova stagione di ricerca, l’undicesima stagione da quando il Dipartimento di Ecologia dell’Università della Calabria ha avviato un progetto di ricerca per il monitoraggio e la tutela dei siti di nidificazione di Caretta caretta (questo il nome scientifico della tartaruga) in Calabria. E’ un progetto che, nato un po’ “in sordina” nella primavera del 2000, ha profondamente mutato il quadro delle conoscenze sulla nidificazione di questa specie in Italia.
 
La Tartaruga marina è una delle venti specie di vertebrati più rare e minacciate a livello nazionale, pur essendo, tra i Cheloni marini presenti nelle acque italiane (oltre ad essa, anche la tartaruga verde e la tartaruga liuto), ancora la più frequente e anche l’unica nidificante nel nostro paese. Si tratta, in ogni caso, di un animale fortemente a rischio di scomparsa in tutto il Mediterraneo e perciò protetto da normative internazionali e comunitarie. I principali siti riproduttivi si rinvengono in Grecia, Turchia, Cipro e Libia, paesi che concentrano da soli oltre il 97% dei circa 7200 nidi annualmente deposti in Mediterraneo.
 
In passato, la nidificazione di Caretta era, con ogni probabilità, un fenomeno regolare e relativamente diffuso lungo le coste del Meridione d’Italia, ma i dati al riguardo sono piuttosto sporadici e imprecisi. Nel corso degli ultimi 25 anni del secolo scorso, casi di nidificazione si registrano sulle isole e le coste siciliane, in Sardegna, lungo le coste pugliesi e quelle ioniche di Basilicata e Calabria. La nidificazione era però oramai ritenuta, a livello nazionale, come sporadica o occasionale, eccezion fatta per le Isole Pelagie (Linosa e Lampedusa), isole sulle quali la nidificazione di Caretta risultava accertata, se pur non tutti gli anni, sin dal 1975, ma sempre in numero esiguo di casi (2-3 nidificazioni/anno, nel ventennio 1980-1999).
 
Nessuno, tuttavia, aveva mai realmente attuato ricerche ad hoc sulle spiagge calabresi e, in particolare, lungo la costa ionica centro-meridionale, tra Crotone e Reggio Calabria, dove, sino al 1999, risultavano una decina di casi certi di nidificazione, tutti dovuti a rinvenimenti fortuiti di schiuse nel momento di massima frequentazione turistica dei litorali (mese di agosto).
 
Da questo quadro così lacunoso di conoscenze che, tuttavia, lasciava ipotizzare una realtà diversa da quella ufficialmente riconosciuta, nasce il progetto di ricerca dell’Università della Calabria, ora denominato “TARTACare Calabria” (con riferimento a Tarta come tartaruga; Care come richiamo al nome scientifico della specie, al plurale femminile dell’aggettivo caro e al verbo inglese “to care”, che significa importare, preoccuparsi).
  Il progetto, approvato e autorizzato dalla Direzione Protezione della Natura del Ministero dell’Ambiente, riceve, negli anni, contributi finanziari dal Ministero stesso, nonché dagli Assessorati all’Ambiente dalla Regione Calabria e della Provincia di Reggio.
 
Le indagini dell’Università portano alla scoperta che “l’ultimo rifugio” della Tartaruga marina in Italia non sono le Isole Pelagie, ma bensì proprio la costa ionica della Calabria, dove  il nostro chelone si riproduce ancora regolarmente, ed in numero ben più consistente, in particolare lungo il tratto di costa reggina.
 
Certo, non si tratta di centinaia di nidi, come ancora si verifica sulle spiagge della Grecia, ma “solo” di 10-20 deposizioni a stagione, che, tuttavia, rappresentando, secondo gli anni, dal 60 al 90% dei nidi segnalati in Italia. Dagli inizi del progetto a oggi, la ricerca dell’Università ha garantito l’arrivo al mare di oltre 5000 piccole tartarughe. Sono numeri che fanno della costa ionica calabrese la più importante e la più regolare area di riproduzione di Caretta a livello nazionale. Si aggiunga, che le tartarughe calabresi si sono rivelate essere un “unicum” biologico, poiché mostrano caratteristiche genetiche - evidenziate dagli studi condotti da UNICAL in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata - che le differenziano da tutte le altre popolazioni mediterranee.
 
Il futuro di questa importante area di nidificazione, relitto di una ben più consistente popolazione del passato, è, tuttavia, fortemente a rischio. Le abitudini di vita di questi animali, si “scontrano” con il crescente uso antropico delle coste e del mare.
 
La “strategia” riproduttiva di questo animale ne è un primo esempio. Nel Mediterraneo il periodo di deposizione inizia a fine maggio e può proseguire fino ad agosto inoltrato, anche se il 50% dei nidi è generalmente deposto tra la metà di giugno e luglio. Una volta deposte le uova in una buca scavata nella sabbia (profonda tra i 30 e i 50 cm), la femmina di tartaruga torna in mare, abbandonando la sua nidiata. Le uova saranno “covate” dal calore della sabbia, per un periodo di tempo variabile tra i 45 e i 70 giorni.
 
Alla schiusa, i piccoli risalgono la cavità e, una volta emersi (di norma nelle ore notturne), si dirigono  subito verso il mare, dove trascorreranno molti anni (almeno 15-20) prima di tornare, raggiunta l’età adulta a riprodursi sulle stesse spiagge in cui sono nate.
 
I rischi a cui vanno incontro le nidiate sono molteplici, se si considera che il periodo di schiusa coincide in larga misura con il periodo di massimo affollamento turistico delle spiagge: lo spianamento e la pulizia meccanica degli arenili, il passaggio di mezzi fuoristrada possono essere causa di distruzione di intere nidiate. Così come lo sono le luci artificiali di lungomare, lidi o altro, forse il maggior fattore di rischio. Al momento dell’emersione dal nido, i piccoli di tartaruga sono, in effetti, fortemente attratti da queste luci che li portano a dirigersi nella direzione opposta al mare, ossia verso sicura morte. E’ ciò che i ricercatori  dell’Università hanno più volte constatato nei primi anni della ricerca (interventi mirati permettono ora di garantire l’arrivo al mare dei piccoli anche in queste condizioni). Si aggiunga, che il fenomeno dell’erosione costiera, in buona parte attribuibile all’azione antropica, ha determinata la scomparsa d’interi settori d’arenile potenzialmente idonei alla nidificazione della specie.
 
Ma la sopravvivenza di Caretta non è solo legata alla fase di vita terrestre, ossia al successo della riproduzione. Le cause del grave declino delle popolazioni mediterranee, complessivamente stimate a circa 3000 femmine nidificanti, sono da ricercarsi anche nel forte incremento della mortalità nella fase di vita marina. Le cause riguardano il diretto impatto che l’inquinamento marino, lo sviluppo del traffico nautico e, soprattutto, le attività di pesca, hanno su questi animali.
 
Si stima che almeno 60.000 esemplari siano catturati ogni anno nel Mediterraneo e che almeno 20.000 siano quelli vittima delle attività di pesca nei mari italiani. Indagini condotte dall’Università nell’area reggina, evidenziano come la pesca con reti e palangari sia causa di cattura, ferimento o morte di circa 500 esemplari a stagione. Si tratta, oltretutto, di tartarughe nate anche in altre parti del Mediterraneo - forse soprattutto in Grecia - e che ritrovano nelle acque prospicienti la costa calabra are importanti di alimentazione. Una maturata coscienza del mondo dei pescatori, l’utilizzo di attrezzature da pesca appositamente studiate, potrà - si spera - contribuire a ridurre l’impatto e la morte di molti animali.
 
I ricercatori dell’Università della Calabria si stanno prodigando per far conoscere alle amministrazioni locali e ai cittadini l’importanza di una tale presenza. Tutelare la Tartaruga marina significa, in effetti, tutelare il mare e le spiagge dal degrado. La nidificazione di questo straordinario animale non è incompatibile con una frequentazione turistica rispettosa degli arenili. E’ però necessario che si comprenda che le spiagge non sono solo una distesa di sabbia, da spianare come si vuole, ma uno straordinario e delicato ambiente naturale.
 
Il nostro augurio è che la Costa Ionica reggina possa diventare davvero la “Costa delle tartarughe”, unica in Italia, nel segno di un maturato impegno delle amministrazioni e di tutti i cittadini per il rispetto e la tutela di questi straordinari animali e dell’ambiente in cui si riproducono.
 
Allora, la nostra tartaruga potrebbe veramente diventare un richiamo forte (il “valore aggiunto”) per uno sviluppo turistico di quest’area costiera, basato sulla salvaguardia e la fruizione intelligente delle sue straordinarie risorse naturali.

 

Il Professor Antonio T. Mingozzi è responsabile del progetto TARTACare Calabria presso il Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, Rende CS (responsabili di campo: dott. Salvatore Urso, dott.ssa Patrizia Rima, dott. Salvatore Salice, Carmela Mancuso)

 

Data: 14/07/2010
Autore: ANTONIO T. MINGOZZI
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