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IL PAESAGGIO E' UNO STATO D'ANIMO - Il tempo degli alberi
La foresta in autunno - Gustave Courbet

  Autunno, tempo alto  di metamorfosi. In natura il cambiamento è la regola, ma in autunno  esso esplode, s'impone , ci scuote con la sua potenza. In città ce ne accorgiamo dagli alberi,  in questo periodo più che mai preziosi specie per noi abitanti delle città assediati dal cemento: il colore velocemente mutato del  fogliame  nei viali, più bello , più sorprendente di qualunque colore inventato dall'uomo, ci riporta drammaticamente alla realtà della vita. Qualcosa che finora c'era finisce, qualcosa che prima non c'era ora ha inizio. Un giorno fa eravamo  imbalsamati dall'aria calda, sospesi nella fissità calda dell'estate, come pesci in un acquario, e il  sole trionfale sembrava promettere  la sua eternità; ed ecco,  improvvisamente la luce si è  fatta breve e si accendono i candelabri degli alberi, erano verdi e ora si fanno da un giorno all'altro gialli, rossi, di bronzo, d'oro, viola, tonalità di pietre preziose che  avvincono lo sguardo più distratto. 
  Se a primavera la natura è grande, tanta, con il fogliame che invade i cieli - la parola maggio viene dal sanscrito mag, grande -  l'autunno è ugualmente imponente per la mutazione delle vaste macchie di colore delle piante: come in primavera,  l'autunno è un momento in cui gli alberi si fanno guardare, imperiosamente. Gli alberi io li guardo sempre, non solo in autunno; dovunque li vedo. Guardo chi sono, come persone, come stanno; sento felicità quando li sento stormire a un vento delicato, sento tenerezza e commozione quando mi accorgo che hanno prodotto qualcosa, foglioline nuove, fiori, frutti,  trascolorare delle  chiome. Se in loro posso vederci anche il viola è  per merito di  mia madre, Miranda Magagnini, che era pittrice paesaggista, e quando ero bambina mi conduceva con sé quando andava a dipingere all'aperto. Grandicella, le  facevo anche da giovane di bottega,  portandole la cassetta dei colori e il seggiolino, e restando a guardare, per imparare come faceva...
  Allieva di un allievo dei Macchiaioli, mia madre dipingeva appunto a macchia, senza traccia disegnata, usando il solo colore,  talvolta applicato  con la spatola al posto del pennello. Lavorava in silenzio, completamente assorbita dal particolare guardare del pittore, che è piuttosto un osservare senza giudizio - la cosa da dipingere non è né bella nè brutta, né buona né cattiva: una meditazione.
  Mi diceva frasi come:" In quel  cipresso c'è il viola".
  "Viola? Non lo vedo. E' verde" facevo le prime volte  io, che non avevo ancora imparato a prestare un'attenzione fuori dai cliché alla natura. Ma guardando meglio vedevo che aveva ragione lei: il cipresso aveva un cuore viola che trasluceva fra i rami verdi.
  Poi c'erano le foglie dei platani di viale Angelico, a Roma; un grande, solenne viale che iniziava nelle vicinanze  di San PIetro e finiva sotto la collina verde di Monte Mario coi suoi pini e le sue ginestre. In autunno la zia Filomena , sorella della pittrice, portava me e mia sorella a passeggiare sul magnifico  tappeto di foglie che quei grandi alberi  avevano steso sulla strada e sui marciapiedi.
  Che piacere intenso camminare su quelle stelle di cuoio rosso e dorato, sentire lo scricchiolio sotto le scarpe - adesso ho male pure a camminare sull'erba -  sollevare con i piedi piccoli vortici bronzei nel polverio del sole al tramonto, raccogliere e portare al viso e mostrare alla zia e portare al cuore un mazzetto di quelle meraviglie, le foglie, che erano scese da tanto alto per venire vicino, ed era una cosa vera, una cosa che non bisognava comprare nè faticare per avere, una cosa che non faceva paura e non chiedeva niente, che era bella, perfetta, gentile nel cadere, un piccolo angelo sceso giù con aria modesta.
  Ho rivisto quell'antico piacere in Giappone, sui visi dei bambini portati a fine anno ad ammirare e raccogliere come fiori le foglie gialle di Ginko Biloba nel viale del Palazzo dell'Imperatore a Tokio: un tunnel unicamente di Ginko secolari, forse millenari, che col freddo si popola di migliaia di ammiratori grandi e piccoli dei magici ventaglietti . E' lo stesso popolo che a primavera va a stendersi sotto i ciliegi per coglierne la dolcissima fioritura e festeggiare la nuova fase della natura.
  Adesso questa natura mostrandoci il suo mutamento, invita anche noi a seguirla, ed è sempre saggio seguirla, perché è più forte di noi. Perciò mutiamo qualcosa intorno a noi. 
  In fase di luna calante, propizia ai lavori agricoli, mettiamo le nostre piante in vasi più larghi, diamo loro più cibo, ossia più terra. Fuori di casa, piantiamo un piccolo albero in qualche punto nelle vicinanze libero da cemento che possiamo raggiungere facilmente, per innaffiare e sorvegliare.
  E facciamoci arditi, scrivendo all'Ufficio Giardini della nostra città per segnalare dove sostituire con alberi nuovi qualche albero che è morto. Per piantare un albero in memoria di una persona cara. 
  Mettiamoci d'accordo con un'insegnante dei nostri figli per fare la Festa degli Alberi a scuola. Forse possiamo unirci a qualche gruppo di Guerrilla Verde che di notte va a mettere piante in luoghi abbandonati. O mettiamoci d'accordo con il condominio per aggiungere qualche esemplare arboreo nel nostro cortile.
  Piccoli gesti, ma piccolo non vuol dire non importante. Come dice Joan Baez in una canzone:
  "E' giovane, ma crescerà".

 La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro

Luciana Marinangeli e' scrittrice, francesista e presidente dell'Associazione l'Alberata

Data: 18/10/2010
Autore: LUCIANA MARINANGELI
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