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IL PAESAGGIO E' UNO STATO D'ANIMO - Tagliare un albero

  Tagliare un grande  albero che ha impiegato decine di anni a crescere alto e bello, culla e casa di una miriade di piccoli animali  che perderanno così la loro sicurezza e spesso la vita e quella dei loro figli,  tagliare quest'albero per trascinarlo lontano dai suoi fratelli, dalla terra che lo ha nutrito e dall'aria che ha respirato e fatto respirare, per essere messo a morire lentamente in una grande piazza affinché il signore del luogo  se ne pavoneggi e celebri il suo potere agli occhi del mondo , senza neanche un pensiero per la creatura vivente che ha ucciso, io non lo considero un avvenimento:
lo chiamo barbarie, insulto alla natura, assassinio gratuito.
 
Altra cosa è tagliare un albero quando il suo legno è necessario per la vita, e tagliarlo con rispetto, con la consapevolezza di star sacrificando qualcosa di vivo.
  Nell'India antica i "nrishi", i veggenti dei tempi arcaici, nei riti vedici usavano per i sacrifici solo ramoscelli già  caduti, e prima di cogliere dei fiori per ornare l'altare mormoravano una preghiera in cui esprimevano reverenza per la 
vita floreale.
 
In Europa, nell' Eremo di Sant'Antonio, vicino Viterbo, tagliare un albero è sempre stato un avvenimento nel senso che è cosa del tutto insolita, rarissima. Lo racconta , con grande poesia ,Tommasa Alfieri(1910-2000), discendente dal grande scrittore che, in tempi non solo di paranoici totalitarismi ma anche di trionfo schiettamente politico della potente Azione Cattolica, fondava invece un'associazione privata  di  laici impegnati a coltivare una vita interiore e  uno spirito di  servizio , perché la "Signorina", come la chiamavano, fu in prima linea nella vita civile, prodigandosi in tempo di guerra per aiutare i feriti e poi , in pace, combattendo  per il voto alle donne e rifiutando l'offerta di entrare nella Camera dei Deputati.
 
Nel 1937 il panorama mondiale si incupiva, nel Terzo Reich si andava concretizzando il proposito di sterminare milioni di esseri umani innocenti, ma Tommasa trovava il luogo dove riunire la sua comunità : un antico convento cappuccino abbandonato fra le colline.
 
Ecco dunque il racconto di Tommasa.
 
"All'Eremo tagliare un albero è un avvenimento. Giusto se è secco, o malato incurabile e contagioso; o se si deve "pulire" una ceppaia di castagno, ridurre i getti poderosi per renderla più forte e più bella: o necessariamente diradare tagliando alberi contorti ed ingombranti che danno fastidio ad altri... o tagliare un albero che dopo anni (quanto si aspetta, però) non dà frutto...
  "
Altrimenti, salvo la necessaria potatura, gli alberi all'Eremo possono stare tranquilli: la sega elettrica o l'accetta non li toccherà.
  "
Comunque anche con questa premessa, tronchi a terra ce ne sono nel bosco,  parecchi. E che se ne fa? I rami ai caminetti per scaldarsi e i più sottili al forno per cuocere il pane insieme con le fascine di potatura delle viti, ed i tronchi, poi, vanno in falegnameria. 
 "
Termine lussuoso per un locale con vecchie macchine, molta segatura ed un insieme di attrezzi piccoli e grandi appesi al muro o sul grande tavolo,anch'esso venerando e segnato dal lavoro, poi, tavole: larghe, strette, lunghe, corte.
  "
Lì, in questa falegnameria, avviene la trasformazione. I tronchi diventano tavole e le tavole diventano non si sa quante cose!      Mobili, mensole, inginocchiatoi, cornici, credenze, porte; arnesi per la campagna e tante altre cose; oggetti di un artigianato semplice, ma espressivo. E poi è anche una infermeria la falegnameria! riparazioni, aggiustamenti, sostituzione di pezzi, restauro insomma, per legni che hanno secoli. Per tutto questo è sempre in azione per varie ore al giorno ed è un luogo pieno di vita. Parlano (un poco stridono) le vecchie macchine contente che l'abilità affettuosa di chi le adopera, faccia utile la loro vecchiaia. Parla il legno che viene trasformato e non distrutto e si lascia piallare, levigare con un sibilo che non è un gemito perché anche i denti della sega lo troncano sì, ma per farlo restare e vivere. E' bella la falegnameria, la nostra vecchia falegnameria.
  "
I vari legni (non c'è solo castagno, ma cipresso, ciliegio, cedro, leccio) danno un profumo caratteristico e tanto buono. E' un luogo di gioia. Tanti ferri, tavole e poi ecco il mobile riparato diventato come nuovo nella sua antica tinta calda espressiva. O il mobile nuovo che si affratella all'antico per mantenere all'Eremo l'incanto dei secoli. O più modestamente per rendere più agibile la grande cucina. Così la vita dell'albero continua, nella sua funzione, con l'allegria di una nuova giovinezza. A  gloria di Dio ce crea l'albero, affida all'uomo la sua cura e poi...insegna all'uomo a farlo vivere oltre il taglio".
 
Vanno oltre queste parole di Tommasa (Tommasa Alfieri, Uno sguardo che accarezza la memoria, ed. Amici dela Familia Christi) oltre la banalità di ciò che appare ai più solo un albero morto.
 
Andava oltre la visione banale dell'albero morto quel falegname di vicolo del Cinque, nel cuore del rione di Trastevere, a Roma, che mi 

diceva che i suoi alberi "morti" erano vivi e lui li sentiva scricchiolare, muoversi, sono vivi, diceva, e mi capiva quando io gli confidavo che i mobili di legno per me sono persone.
  Ogni volta che passo da quelle parti vedo sempre con tanto piacere Gianfranco, il figlio di Armando, questo favoloso artigiano che ha educato all'amore per i mobili di campagna intere generazioni di anime sensibili che solo tra i vecchi legni rustici si sentono a casa e, forse, amati; vedo sempre con piacere Gianfranco che, con un camice turchino identico a quello del padre, con gli stessi ricci del padre, lavora a pulire una vecchia alzatina con ripiani a vista sopra e corpo più panciuto sotto, matrona quadrata con il suo grembiule di legno teso ad accogliere piatti ed altri tesori domestici.
 
La lunga frequentazione del legno, cui si accompagna il ricordo naturale di ciò che quel legno ha costruito, le stagioni, il lavorio lento del sole e dell'acqua, del cielo, del vento e delle casualità misteriose che hanno lasciato il loro segno nei nodi, lasciano una traccia che si percepisce negli occhi e nel modo di fare di Armando e di Gianfranco, un modo sereno, calmo, rispettoso e dignitoso, come ci insegna a essere ogni cosa naturale se la guardiamo da vicino e con attenzione. Anche mio nonno Vincenzo, che aveva nelle sue terre in Umbria una piccola bottega da falegname in cui si dilettava a costruire le botti per il suo vino, era sereno, sempre calmo, silenzioso tranne quando faceva qualcuna delle sue  osservazioni,  che erano sempre giuste , e sapeva voler bene a figli e nipoti, e anche a se stesso: in quella sua bottega  che era anche un nascondiglio per togliersi dai piedi quella famiglia troppo grande e movimentata, fra i barattoli di colla che profumavano così bene assieme al legno, scoprii un giorno tanti vasetti di marmellate diverse,  che lui si godeva zitto zitto...
  Con gli alberi si torna alle cose prime -  magari alla gioia.

 

 La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro

 

Luciana Marinangeli e' scrittrice, francesista e presidente dell'Associazione l'Alberata

 

 

Data: 13/12/2010
Autore: LUCIANA MARINANGELI
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