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MANUALE DI CONVIVENZA - Il nucleare e gli animali
Andrea Brutti e' esperto di tutela degli animali selvatici ed e' consulente di diverse associazioni animaliste nazionali; ha contribuito alla creazione del Centro Recupero Fauna Selvatica LIPU di Roma che ha gestito per 10 anni

  Le notizie che giungono dal Giappone sono sempre più allarmanti. Oltre alle migliaia di vittime umane ed animali causate dal terremoto e dal successivo tsunami, ora l’attenzione è concentrata sui reattori della centrale nucleare di Fukushima e sul rischio delle radiazioni che ne vengono sprigionate. Ed è inevitabile pensare a quanto accaduto a Chernobyl pochi anni fa e alle conseguenze che la contaminazione ha avuto, ed ha tutt’oggi, non solo sulle persone ma anche sull’intero ambiente e sugli animali.
  Inizialmente l’abbandono totale da parte dell’uomo di vaste zone intorno alla centrale, considerate a rischio per le radiazioni, favorì il ritorno di animali selvatici che avevano trovato un ambiente meno pericoloso per la loro sopravvivenza. E’ quindi possibile pensare che alcune specie, come dichiararono alcuni scienziati, abbiano tratto un beneficio dalla naturalizzazione di alcune zone.
  Ma, tuttavia, dopo qualche anno anche gli animali hanno iniziato a risentire delle conseguenze delle radiazioni e la loro presenza è andata via via diminuendo. Proprio recentemente, sono stati eseguiti dei monitoraggi molto accurati da parte degli scienziati Mousseau e Moller, che hanno realizzato il più grande censimento di animali selvatici nell’area di Chernobyl. I dati, confrontati con le zone adiacenti che vengono considerate fuori rischio radiazioni, sono inquietanti: le specie di fauna presenti hanno subito una diminuzione del 50%, mentre numericamente parlando la popolazione di animali selvatici è inferiore del 66%.
  Alla base di questo impoverimento di biodiversità è il danno a medio e lungo termine causato proprio dalle radiazioni, come testimoniano anche altri studi scientifici che riguardano specificamente gli uccelli: quelli che vivono nelle aree vicino alla centrale di Chernobyl hanno un cervello più piccolo di oltre il 5% rispetto ai loro vicini.
  Grazie a questi studi è stata inoltre verificata la presenza di numerose disfunzioni ed anomalie, in particolar modo delle rondini: tumori alle zampe, agli occhi, nella zona del collo, fenomeni di albinismo, becchi deformati, piumaggio cresciuto in maniera anomala che renderebbe questi esemplari meno abili al volo e alla migrazione.
  Un quadro quasi certamente parziale: gli animali selvatici infatti vivono liberi in spazi immensi e dopo il decesso è molto difficile rinvenirli poiché rappresentano una fonte di cibo per altra fauna.
  Con tutta probabilità, nell’universo animale che ancora popola questi luoghi vi saranno esemplari con malformazioni e mutazioni genetiche, forse molto simili a quelle ampiamente documentate negli esseri umani.
  Bisogna poi prendere in considerazione gli insetti – che sembrano comunque essere in drastico calo - e le piante, che hanno colonizzato tutta la zona (anche quella urbana) creando vere e proprie foreste.
  Il quadro complessivo che emerge è comunque molto preoccupante, per la nostra vita ma anche per quella animale e vegetale ; troppo poco se ne parla, forse perché ancora ritenuta “materia a parte” non prendendo in considerazione la moderna visione biocentrica che non pone più l’uomo al centro dell’universo.
  In Giappone, ancora non si è giunti ad una catastrofe paragonabile a quella di Chernobyl, anche se la nube radioattiva è un pericolo reale ed ha già contaminato alcune aree circostanti la centrale.
  Ci auguriamo veramente che il nostro Paese, che occupa un territorio ad elevato rischio sismico applichi il doveroso principio di cautela e il buonsenso: la maggioranza dei cittadini non vuole centrali nucleari perché rappresentano un pericolo per tutti.


La rubrica di Andrea Brutti per Il Respiro

Data: 19/03/2011
Autore: ANDREA BRUTTI
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Andrea Brutti e' esperto di tutela degli animali selvatici ed e' consulente di diverse associazioni animaliste nazionali; ha contribuito alla creazione del Centro Recupero Fauna Selvatica LIPU di Roma che ha gestito per 10 anni 
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