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Stop all'antibracconaggio sullo Stretto di Messina?
Danilo Selvaggi e' responsabile dei Rapporti Istituzionali della LIPU-Birdlife Italia; si occupa di cultura ecologica, arte e societa'

   “Una decisione sconcertante” la definiscono le associazioni ambientaliste, incredule di fronte al rischio che nei giorni più “caldi” dell’anno per la migrazione degli uccelli provenienti dall’Africa, il Corpo Forestale dello Stato possa non presentarsi in forze a proteggere lo Stretto di Messina dai bracconieri. Taglio di fondi interno al Ministero delle Politiche Agricole? Mancato trasferimento di risorse dal governo? Decisione politica? Le ragioni della scelta non sono ancora chiare e per scoprirle, ma soprattutto per tentare di capovolgere la decisione, LIPU, WWF, Legambiente, ENPA, Animalisti italiani e LAV hanno scritto al Capo del Corpo Forestale, Cesare Patrone, e sollecitato l’intervento urgente del Ministro Saverio Romano.
 
Si tratta di una scelta – ridurre le attività sullo Stretto - clamorosa e comunque ingiustificabile. Lo Stretto di Messina è un “collo di bottiglia” straordinario (con Gibilterra e il Bosforo) per il viaggio Africa-Europa degli uccelli migratori. Decine di migliaia sono i falchi, le aquile, le cicogne, gli aironi, i fenicotteri che ogni anno, con picchi tra i mesi di aprile e maggio, utilizzano le particolari correnti e più in generale i vantaggi dinamici dello Stretto per raggiungere il continente europeo. 
Uno spettacolo che mozza il fiato e attira l’attenzione, quando non la presenza fisica, da ogni parte d’Europa e del mondo.
  Poche settimane fa se ne è occupato persino Jonathan Frantzen, tra i maggiori scrittori americani viventi, con un lungo reportage per il New Yorker, dopo aver visitato di persona alcuni degli hot spots della migrazione e dunque, di conseguenza, del bracconaggio nel Mediterraneo: Malta, Cipro, piccole isole italiane, Stretto di Messina.
 
“Rischiamo un doloroso passo indietro”, dice Giovanni Malara, in un misto di rabbia e sconforto ma senza alcuna forma di rassegnazione. Troppe ne ha vissute per perdersi d’animo. Responsabile del campo antibracconaggio LIPU sullo Stretto di Messina, versante calabrese, da quasi tre decenni Malara dedica la propria vita all’impresa di lottare contro il bracconaggio (soprattutto in Calabria e Sardegna) e difendere lo Stretto, con uno slancio che non esitiamo a definire eroico.
 
 “Il primo campo risale al 1985”, racconta, “quando la situazione era disastrosa e i bracconieri spadroneggiavano, quasi senza contrasto. Erano i primi giorni di maggio e come sezione LIPU di Pellaro, Reggio Calabria, organizzammo la manifestazione che in qualche modo avrebbe battezzato il campo. La notte precedente un ordigno fece esplodere la sede. Fu un fatto  di estrema gravità, che destò scalpore e però determinò, paradossalmente, la prima svolta positiva. L’operazione “Adorno” (dal nome dialettale del Falco pecchiaiolo, il più preso di mira in Calabria, ndr.) nasce lì. In seguito all’attentato, sullo Stretto venne infatti inviato per la prima volta un nucleo antibracconaggio del Corpo Forestale, la cui presenza da allora divenne assidua”.
 
E non solo Corpo Forestale, sottolinea Malara, ma anche Carabinieri e Guardia di Finanza, oltre naturalmente ai molti volontari.
 
“I rischi corsi e i danni subiti in questi decenni testimoniano del grande tributo che tutti noi, volontari e forze dell’ordine, abbiamo pagato. Ad esempio, il 1990 fu un anno tremendo. Spari e attentati contro le camionette, giovani volontari fatti cadere in mare, aggressioni ripetute, una guardia colpita da una fucilata alle corde vocali. Abbiamo pagato un prezzo umano altissimo ma non ci siamo mai fermati e ne è valsa la pena”.
 
Tutto questo rischia ora, se non di vanificarsi, certamente di compromettersi in modo serio. Se sotto il profilo normativo ma anche culturale, sociologico, è difficile che i passi avanti compiuti possano essere cancellati, un errore imperdonabile sarebbe il lasciare via libera a quello zoccolo duro di cacciatori di frodo che le nuove regole e la nuova cultura non le hanno mai accettate. Per loro, gli adorni vanno abbattuti.
 
In queste ore la LIPU e altre associazioni stanno agendo perché la situazione sia risolta e le azioni antibracconaggio sullo Stretto siano garantite nella loro pienezza.
  Peraltro, a chiederlo sono le direttive comunitarie e le convenzioni internazionali, che spingono a rafforzare la vigilanza e la repressione dei crimini ambientali. A chiederlo sono anche i cittadini di tutta Europa che, come gli italiani, attendono l’arrivo degli uccelli migratori e verso i quali l’Italia, preziosissimo ponte biologico tra l’Africa e l’Europa, ha il privilegio di una grande responsabilità.
 
Certo sono giorni difficili, per i migranti di ogni tipo.
 
“Vorrei rivolgermi direttamente al Ministro dell’Agricoltura Romano”, conclude accoratamente Giovanni Malara, “e informarlo che ogni ora persa è una ferita. Lo scorso anno il Nucleo antibracconaggio è intervenuto il 28 aprile, cioè con qualche giorno di ritardo. Ebbene, il 25 aprile i bracconieri hanno ucciso 400 falchi. In una sola giornata. Questo ci dice quanto sia essenziale la presenza dei volontari e del Corpo Forestale. La partita la stiamo vincendo ma non è ancora finita”.
 
L’eroismo degli antibracconieri è una grande impresa per la natura e per la legalità, in un territorio che ne ha davvero bisogno. Dura da 26 anni. Fermarsi ora sarebbe molto triste.

  

Data: 28/04/2011
Autore: DANILO SELVAGGI
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