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IL PAESAGGIO E' UNO STATO D'ANIMO - Perché abbiamo bisogno del giardino
copyright IlRespiro.eu

      Gli alberi, mi domando,
     
perché vorremmo sentire
     
il loro fruscio per sempre
     
più di ogni altro suono...

 E' il primo argomento di un ciclo dedicato al giardino da me svolto nella  Biblioteca Marconi del Municipio XC di Roma, a via Girolamo Cardano. Il 17 di questo mese di maggio ci sarà il quarto e ultimo incontro, ma l'interesse, direi la gioia, del pubblico mi ha suggerito di allargare il discorso ai gentili lettori del Respiro
 
Rifarò quindi il cammino già percorso, iniziando con la prima fondamentale domanda: perché abbiamo bisogno di un giardino, di vedere un giardino, di sostare in un giardino?
 
Io credo che amiamo il giardino perché gli alberi soddisfano il bisogno di bellezza. La bellezza salverà il mondo, è stato detto, e se il mondo è un posto molto brutto io non voglio starci, voglio andarmene.
  "Occorre rallegrare il cuore attraverso gli occhi, dice Dante; "una cosa bella è per sempre", dice Keats. Quanta bellezza negli alberi, nella loro forma ricca e diversa, nel colore, nel profumo, nel movimento col vento e con le stagioni; quale magnifico senso di solidità, di generosità, di mistero con quello slanciarsi 
verso l'alto a differenza di  tutte le altre creature viventi schiacciate verso il basso dalla legge di gravità.
 
Io credo che amiamo gli alberi perché sono testimoni puri della nostra esistenza: sono presenza, come gli animali, e come gli animali non ci giudicano, non ci proibiscono di esistere, non ci chiedono, SONO; sono là, massimo dono, e ci vedono essere. Non fuggono!
  Io credo che amiamo il giardino perché soddisfa tutti i sensi, secondo in questo solo al piacere sessuale: nel giardino vedi, tocchi, odori, senti. C'è un video meraviglioso, che si trova anche sul Respiro, con Stevie Wonder che canta errando lentamente fra piante e girasoli coi suoi occhi vuoti ma tutta la sua persona in ascolto e in estasi: canta, al mondo, la sua  Secret Life of Plants. E Vittorio Clemente, poeta dialettale abruzzese:

      Cuscì colcate, tra la ierva (erba)arse
     
da lu sole
     
nen sò chiu é (non son più io);
     
me sente d'esse
     
ogne cose. Tutta me s'è sparse
     
la vita p'addovunuqe;
     
e, a stu momente,
     
tocche la terre e sente sfrullicarse (sbriciolarsi)
     
tra le dete sta carne mé; e allu vente,
     
polvra d'oro, la vedo spaliarse (spargersi)
     
luccicheinne, come na sumente
     
e me pare renasce fiore, stelle
      
mentre stu soffle me se fa parole
     
e cante, tra le fronne e alle furmelle (ruscelli).
     
E nzine a Die, beate, me cunsole
     
e m'appache, sperdute belle belle,
     
'n mezze alle piene luce de lu sole.

 Credo che amiamo il giardino perché  è il luogo della Dea. E' la Madre: 

      Ogni pianta ti dice eterne leggi,
      ogni fiore con te parla più chiaro.     
      Ma se della Dea qui tu decifri
      le sacre lettere,
      tu poi ovunque le ravvisi,

insegna Goethe all'amata nel giardino.
 
Amiamo gli alberi perché la consapevolezza che sono essi a darci la vita  continua ad albergare  dentro di noi, in qualche luogo tra gli occhi e l'anima.
  In un medaglione del muro che circonda il tempio dell'imperatore indiano Asoka, terzo secolo a. C., si vede un albero dalle cui  radici scende un fiume di monete d'oro e con due braccia umane estese dal tronco che offrono cibo e acqua a un orante E' il Kalpa drum, l'albero  dei desideri. Acqua, cibo, possibilità vitali. 
 
E' l'ossigeno, sono i 400 litri d'acqua che un solo faggio riversa nell'atmosfera in un giorno d'estate. E' la protezione dalla polvere, dal rumore. Sono le radici che tengono ferma la terra durante i terremoti. Abbiamo visto i grandi alberi del Giappone fermi al loro posto, mentre tutto passava ai loro piedi travolto dallo tsunami, case  e motoscafi.
  Amiamo gli alberi perché ci sappiamo piccoli in questa immensità e simpatizziamo con la piccolezza - ma piccolo non vuol dire non importante. Se Victor Hugo canta i giganti vegetali:

      Quando io sono tra di voi, alberi di questi grandi boschi,
      in tutto ciò che mi circonda e  al tempo stesso mi nasconde,
      nella vostra solitudine in cui io rientro in me stesso,
      sento qualcuno di grande che mi ascolta e mi ama,

  Giorgio Vigolo si intenerisce  come Fukuoka  di fronte a un  filo d'erba, che non andrebbe mai pestato: 

      Mi commuovono i fili d'erba,
      i fiori della malvarosa,
      spuntati per aria, sui tetti
      delle chiese, sul ciglio delle cupole.
      Lo spirito soffia dove vuole,
      ma lì ha dolcemente soffiato.

  Alziamo la testa in questo periodo dell'anno, guardiamo in alto: sulle vecchie tegole qualcosa è spuntato, qualcosa rosa ciclamino, un grappolo tra le foglie verdi, e dondola colla testa a capofitto, a guardarci... Guardiamo passando di fronte a un fioraio, a un vivaio, il rampicante che comincia a schiudere le sue stelle colorate:

      Un convovolo alla mia finestra
      mi soddisfa di più di tutta la metafisica dei libri,

dice Walt Withman.
 
I fiori, sorriso della Creazione. Sigmund Freud, l'uomo più cinico e pessimista del suo tempo, colui che riduceva tutta la ricchezza delle emozioni umane a poche pulsioni, sempre le stesse, roba da stalla da reprimere e spazzare via, fu intervistato verso la fine  da un giornalista  che aveva osato chiedergli se insomma c'era qualcosa che lui salvava dalla sua visione totalmente negativa della vita. Freud si trovava allora a Londra, dove era dovuto rifugiarsi fuggendo dalla persecuzione nazista. Il suo viso amaro si fece pensoso; infine disse: "Sì. I fiori!". Salvava la bellezza dei fiori: le rose che coltivava da anni, e i fiori di un grande mandorlo che in quel preciso momento biancheggiava nel giardino e a cui volse lo sguardo finale, il "Sì" detto finalmente alla Vita che aveva sempre sospettato di bassi segreti. Quanto a Jung, era sempre in giardino, col suo grembiule di cuoio da contadino, e piantava lui personalmente i suoi alberi, come il famoso Ginko Biloba messo a terra a Kusnacht sulle orme del grande Goethe di cui si diceva Jung fosse discendente illegittimo e che aveva scritto una celebre poesia su questa pianta venuta dall'Oriente..
 
E Rousseau? E' dopo aver erborizzato, raccogliendo erbe selvatiche nel giardino naturale delle colllne verdissime intorno al lago di Ginevra che egli conosce veramente la felicità per la prima volta nella sua vita tormentata dalla nevrosi d'abbandono e dalla misantropia; dopo aver vagato tra gli alberi di quel dolce paesaggio prende una barchetta, va al largo e là, messi i remi in barca, si adagia nel fondo e si lascia cullare. E nel cullamento tra il profumo e il frusciare della vegetazione e dell'aqua la sua testa sempre piena di pensieri neri se ne va, e lui prova la felicità della semplice sensazione di esistere.
  Il giardino non è solo natura, è anche una terza natura, supera il dualismo tra arte e natura, concilia gli opposti e come ogni volta che qualcosa unisce, si ha pace.
 Questo è stato il contenuto del primo nostro incontro alla Biblioteca Marconi. Continuerò se mi concedete grazia a raccontarvi del secondo, e intanto vi invito all'ultimo, che sarà martedì 17 maggio alle ore 16.30 in via Cardano, al quartiere Marconi a Roma, dove vedremo come fare del proprio davanzale un giardino e un orto!
  Arrivederci,  carissimi amici.



La rubrica di Luciana Marinangeli per Il Respiro

 
 Luciana Marinangeli e' scrittrice, francesista e presidente dell'Associazione l'Alberata


Data: 09/05/2011
Autore: LUCIANA MARINANGELI
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