Monteverde è da sempre considerata una delle più belle zone della capitale, con i suoi palazzi, certo, ma anche con i villini e – soprattutto – gli alberi, gli orti, i giardini che rendevano il quartiere così bello e così vivibile. Questo è ormai passato. Il cemento avanza sempre di più, distruggendo siepi e alberi centenari o quasi, senza alcun rispetto per la memoria storica, per l’ambiente e per il paesaggio così particolare, che alternava visioni di natura quasi selvaggia accanto agli orti visibili dai pendii: panorami consueti che rappresentavano una lieta rassicurazione, e si poteva, anche in città, trovare un contatto con la natura o con un ambiente semirurale. E invece, gli interessi economici dettati dall’appetibilità della zona – una delle più eleganti della capitale – avanzano di pari passo con asfalto e cemento. Niente più orti, che non fanno rendimento; niente alberi centenari, che sono solo ingombro per i box e i parcheggi; niente più collinette verdi, sostituite da pareti di cemento. Recentemente sono stati tagliati molti alberi, tra cui anche il famoso pino dell’istituto s. Pio: un maestoso esemplare che sorgeva appena sopra Via dei Quattro Venti insieme con una palma e ad altri bellissimi, preziosi, alberi. La loro assenza ha lasciato un vuoto nel cielo e anche nel cuore di molti monteverdini. Il solito pretesto è quello della riqualificazione, che guarda caso, passa quasi sempre attraverso la devastazione di territorio verde – anziché del suo recupero – per costruire un qualcosa da rivendere al miglio offerente. Ci sarà, addirittura, chi sarà contento perché potrà comprare il box per la sua nuova automobile, e chi sfruttando questa cultura del possesso, dell'esibizione, dell'ostentazione e dell'inutilità, potrà fare il solito grande “affare”. Nonostante privati ed associazioni hanno chiesto più volte di risparmiare gli alberi, la risposta delle ditte, laddove fornita, è spesso arrogante e minacciosa: niente deve ostacolare il guadagno, che deve essere maggiore possibile con il minore sfrozo possibile. E pensare che, fino a poco tempo fa, c’erano il ponticello e la ferrovia, e gli orti come alcune zone incolte e selvagge. Pochi giorni fa sono passato nello stesso luogo, appena dopo le motoseghe: ho notato un sinistro silenzio, niente più rumore del vento nelle chiome, niente più uccelli, solo la consapevolezza di aver perso un altro piccolo e prezioso habitat, un'altra piccola perla che rendeva monte verde una zona così speciale.

Andrea Brutti